Siamo giunti all’ultimo atto di questo lungo percorso attraverso la vita degli italiani nelle settimane centrali del lockdown. Dopo aver analizzato i loro sentimenti, i cambiamenti che hanno avuto luogo nella loro vita, il lavoro, la socialità e la famiglia, scopriamo ora quali sono i desideri di chi ha passato in casa un periodo di tempo del tutto inusuale. Ma anche che cosa compreranno, se avranno voglia di viaggiare, che cosa rimarrà loro di tutta questa esperienza. E se saremmo portati a pensare che, dopo un periodo come questo, si ha voglia di fare cose folli, beh, non è così.

 


 

Quando non si vede la possibilità di realizzarli, i desideri si depotenziano. Se è complicato andare al supermercato a fare la spesa, non ti viene voglia di fare il giro del mondo. Al massimo ti dai il permesso di desiderare di prendere un caffè al bar.
Sono di questa dimensione i desideri espressi dagli intervistati. Alla domanda “Qual è la prima cosa che farai, quando tutto questo sarà finito?” risponde un universo sospeso, a cui manca prima di tutto la quotidianità, la normalità. Mancano gli affetti, gli amici, le libertà di base: fare una passeggiata, mangiare un gelato, vedere persone.
Quanto è profondo il solco scavato da questa lunga interruzione del tempo? Per la prima volta da quando abbiamo iniziato questa lunga analisi, nel mondo dei desideri troviamo il volere, il piacere. Fino a questo momento tutto era dominato dal dovere: dover funzionare, dover far funzionare la famiglia, dover costruire un futuro per il lavoro. Ecco dove sono finiti i desideri: in fondo, molto in fondo. Tenuti a bada, sognati e a volte non confessati, difficili da tirare fuori perché si sono incastonati nella roccia durissima della necessità. Anche per questo sono diamanti grezzi, brandelli – non ancora fossili, per fortuna – di una quotidianità che è la cosa che manca di più.
C’è la famiglia che è rimasta da qualche altra parte: il recupero della vicinanza, dell’affetto, del contatto, giacché ora non ci si abbraccia, non ci si bacia, non ci si tocca. Ma non è forse l’essere accolti fra le braccia di qualcuno la prima cosa che ci succede appena nasciamo?

Chiamare mia madre e dirle stiamo arrivando, preparate il caffè.​

 

Ci sono gli amici: la famiglia che ci siamo scelti, in molti casi, ma anche l’occasione di esercitare l’empatia, lo scambio. E poi la leggerezza, quella leggerezza che in questo periodo è stroncata ogni giorno dalla conferenza stampa della Protezione Civile e da ogni TG, da ogni giornale, da ogni feed sui social.

 

Voglio toccare qualcuno, mi manca proprio.​

 

C’è il mare: espressione di libertà, di apertura, di orizzonti aperti, così diversi da quelli a cui si può accedere dalle finestre delle case sbarrate per non farci penetrare il virus. Il mare è anche l’unico elemento non umano che appare nelle risposte delle persone, e che dunque proprio per questo appare ancora di più caricato delle sue valenze simboliche.

 

Un bagno in mare, nuotare. Anche se io non nuoto mai, però lo associo alla libertà.​

 

I desideri, in questo panorama, vivono fuori: fuori dalle case – tunnel arredati, come abbiamo visto, ma pur sempre tunnel – e a volte anche fuori dalla città, dalla regione, da quei confini amministrativi che mai come in questo momento sono apparsi come invalicabili.

Una passeggiata lunga lunga al parco. Un gelato, ho una voglia di gelato. Un caffè.​

 


 

Sì, Viaggiare. Ma dentro i nostri confini

 

Totalmente immersi nel clima austero della quarantena, gli italiani abbozzano un’ipotesi sul prossimo futuro o, meglio, sul momento non ben precisato in cui sarà possibile riconquistare qualche autonomia decisionale.
Tra chi ha le idee chiare e chi vive i prossimi mesi aggrappandosi ad un sentimento di speranza sono, tuttavia, in tanti a restare sospesi, a non sapere ancora nemmeno immaginare come vivranno e quali scelte faranno nel tempo che verrà.
A cominciare dai viaggi, su cui non sa pronunciarsi oltre il 23% della popolazione indagata, con qualche perplessità in più tra quanti risiedono al Sud, ancora incerti nel 28,8% dei casi.

Spostando l’analisi su quanti sembrano avere un maggior grado di certezza, intende fare una vacanza il 60% degli intervistati, con una forte prevalenza dei più giovani, che ipotizzano di fare un viaggio nel 71,6%, dei casi. Sebbene il panorama sia ancora piuttosto confuso, dunque, una parte preponderante del Paese non pare mentalmente predisposta a rinunciare all’idea di evadere. E mai termine fu più calzante di questo! Dopo il lungo e innaturale periodo di isolamento, il bisogno di una vacanza c’è ed è necessario: per recuperare le tante energie profuse nell’obiettivo di arrivare alla fine incolumi; per lasciarsi alle spalle il periodo buio della pandemia; per poter ricominciare avendo recuperato un’idea, seppur parziale, di normalità.

La vacanza, quindi, non è solo un desiderio: è una vera e propria necessità che non abbraccia unicamente chi è nelle condizioni di potersela permettere (crede che farà un viaggio il 69,6% di quanti godono di condizioni economiche agiate), ma assume i contorni di un vero e proprio recupero di spazi e di libertà: ad affermare che partirà per un viaggio è il 70,6% di coloro che stanno vivendo la quarantena in abitazioni comprese tra i 50 ed 75mq; la stessa percentuale si riduce al 55,5% tra quanti vivono la quarantena in abitazioni di oltre 200mq. Il bisogno è, dunque, quello più vitale di respirare, occupare e vivere dimensioni diverse, allargare nel vero senso della parola i propri confini.


 

Dom. Appena sarà possibile crede che farà un viaggio? N. Rispondenti: 1195

 


 

E se vacanza deve essere, sarà quasi certamente in Italia (61,2%).
La pandemia limita i desideri e restringe i campi d’azione, lasciando solo a chi ha la facoltà di garantirsi anche in viaggio condizioni di estrema sicurezza, una maggiore possibilità di pensare a mete lontane: rispetto al 9,4% del campione complessivo, tra quanti vivono agiatamente è il 21,3% ad affermare di voler fare un viaggio fuori dall’Europa.

 

I viaggi più lunghi, quelli che si spingono oltre i confini nazionali, hanno a volte un vissuto triste. Perché tra questi viaggi sognati ce ne sono da recuperare, viaggi già prenotati per la primavera e l’estate 2020 (il lockdown ha investito il carnevale, Pasqua e i ponti di aprile-maggio) e rimandati a data da destinarsi: ma ogni data si racconta già con rimpianto, anche se ancora è di là da venire.
Sembra emergere anche un tema di tipo organizzativo, sentito soprattutto da quanti vivono da soli, probabilmente più toccati da incertezze legate alla pianificazione: si andrà in vacanza certamente, ma con chi, quando e, soprattutto, dove? A non saperlo ancora è il 32,3% dei single.

 

Dom. Dove crede che andrà? Rispondenti: coloro che credono che faranno un viaggio (N= 717)


 

Ad ogni modo, tra chi intende o crede di partire, la meta ideale resta ancora il mare, preferito dal 46,2% dei casi e seguito, a significativa distanza, dalle città d’arte (27,9%) e dalla montagna, che raccoglie circa il 9% delle occorrenze.

Non mancano, tuttavia, delle differenze: se il mare viene scelto soprattutto da quanti vivono a Nord Ovest (53,1%), dalle donne (52,1%) e dalle fasce anagrafiche più giovani (18-34enni: 52%; 35-44enni: 53%), le città d’arte incarnano la vacanza ideale delle fasce più adulte (55 anni e oltre: 37,2%), del Centro (33,6%) e dei residenti al Sud (30,7%). La scelta della montagna, infine, sembra riguardare maggiormente i residenti al Nord Italia, con particolare riferimento al Nord Est (14,6%). L’analisi per macro area sembra quindi inquadrare lo scenario all’interno del concetto di turismo di prossimità, che, almeno apparentemente, sembra essere stato in buona parte già digerito da tanti connazionali.

Se quelli finora descritti sono i dati relativi a chi parte, c’è, al contrario, chi ha già deciso di restare a casa. Ed è il 16,7% dell’intero campione indagato. La stessa percentuale aumenta significativamente tra le classi più adulte e, comprensibilmente, tra chi in questo momento affronta maggiori difficoltà economiche.

 


Dom. Quale sarebbe la sua meta preferita? Rispondenti: coloro che credono che faranno un viaggio (N= 717)

 

 


 

Gli acquisti online durante il Covid

Se l’idea di un viaggio resta un obiettivo da raggiungere anche in quarantena, la Pandemia sembra invece inibire buona parte degli istinti di acquisto online: fatti salvi i beni di prima necessità, in barba al tempo libero e al bisogno di evasione, nel pieno del lockdown il 53% dei connazionali non ha utilizzato l’e-commerce. Seppur con qualche eccezione tra le classi anagrafiche più giovani e digitalizzate e tra i territori del Nord Ovest (dove a contribuire è quasi certamente una più consolidata abitudine e confidenza con il tema del delivery), gli italiani sembrano dunque propendere per una scelta cautelativa e razionale, in cui ad essere preferita alla potenziale esposizione ai rischi, è la rinuncia. Anche a più del superfluo. Il tema caldo è quello della logistica, dell’incertezza legata all’iter dei pacchi, della paura di contagio, che si completano col dubbio sui ritardi delle consegne. Davanti alla salute propria e dei propri cari, cade ogni cieca fiducia nei brand, nei loro processi certificati, nelle garanzie di filiera.

 

Accanto ad una comprensibile minor fruizione delle classi più adulte, ad aver deciso di non effettuare acquisti on-line sono state soprattutto le donne (60,5%, rispetto al 44,9% degli uomini) e quanti risiedono nei piccoli centri urbani. È inoltre possibile rilevare significativi scarti anche tra quanti stanno continuando a recarsi sul luogo di lavoro: a non realizzare acquisti online tra loro è il 60,3%, rispetto al 47,2% di quanti stanno lavorando in smart working.

Spostando l’analisi verso il 46,2% di quanti affermano di aver utilizzato l’e-commerce, la situazione cambia solo parzialmente: oltre il 38% di questo segmento, infatti, ha realizzato acquisti raramente. Si riduce al 7,8% lo zoccolo duro di quanti, superando ogni paura e diffidenza, ha scelto di effettuare con assiduità i propri acquisti online, perlopiù giovani e famiglie con figli piccoli.


 

Dom. Sta realizzando acquisti online diversi dai generi alimentari, in questo periodo? N. Rispondenti: 1195

 


 

Gli acquisti dopo il Covid: I love shopping. Diversamente

 

Il ridimensionamento si respira anche quando si parla di acquisti. Questa lunga quarantena ha insegnato un po’ a tutti che in fondo si può fare a meno di tante cose, e non solo perché una vita sociale gestita via videochiamate può tranquillamente escludere dal paniere degli acquisti tutto quanto normalmente serve per uscire, vedere persone, invitare a casa, andare a casa di altri. In realtà ora sappiamo che dietro lo shopping c’è spesso un’ansia da placare, che può essere quella, appunto, sociale, oppure quella di riempire vuoti interiori.

Eviterò gli acquisti inutili e la voglia di riempire certi momenti con qualcosa di materiale, lo riempirò con le piante, con lo sport.​

 

Dunque, il clima di austerità per molti sembra non scadere con la fine della quarantena. Segno, questo, di un possibile cambiamento nella cultura e nei comportamenti di acquisto. Oltre al 15,6% di quanti affermano che non compreranno per qualche tempo, il 29,3% degli intervistati resta ancora in bilico, senza avere una risposta certa al quesito. L’isolamento forzato, la necessità di rinunciare spesso a ciò che non si ha in casa e non si può uscire a comprare, il processo di razionalizzazione che molti italiani hanno applicato nell’approccio alla spesa, sembrano aver minato i più solidi trend consumistici e aver contribuito all’attivazione di un nuovo flusso di coscienza in cui appare evidente, a molti, che si può vivere con molto meno.

 

Accanto a questa visione razionale e un po’ punitiva, però, ce n’è un’altra, e non necessariamente le due sono in contraddizione. Un po’ la luce nello sguardo si accende, quando si parla di shopping, e lascia intravedere il vero piacere: via qualunque alibi utilitaristico (le mille scuse che ci inventiamo per giustificare l’assoluto bisogno di un paio di scarpe nuove) e ok alle ammissioni di “voglia di comprare”. Si tornerà a fare shopping perché è bello entrare in un negozio, provarsi mille cose, discutere con i commessi, vedersi diversi quando ci si specchia nei camerini. Vedersi diversi in generale, anche, poiché essere tappati in casa non incoraggia a dare fondo a tutte le risorse del guardaroba: forse è anche per questo che, tra il 55% di quanti dichiarano che faranno sicuramente acquisti alla fine della quarantena, il 30,9% comprerà abbigliamento. Questa necessità è esposta soprattutto dai più giovani e dalle famiglie con figli piccoli, che comprensibilmente dichiarano anche l’intenzione di comprare giocattoli e altri articoli per l’infanzia.
A rinforzo di un desiderio già lungamente trattato, tra gli acquisti ritorna forte, l’intenzione di comprare biglietti di treni ed aerei, che in questo caso non rappresentano unicamente l’intenzione di fare una vacanza, allargandosi anche al tema del ricongiungimento con le famiglie lontane, gli amici ed i parenti: il ritorno a casa dei giovani lavoratori, la ricerca della socialità di quanti stanno vivendo questa quarantena in completa solitudine, il breve viaggio fuori porta da parte di quanti sentono il bisogno di piccole evasioni. Perchè se è vero che si può vivere con poco, è altrettanto chiaro, dopo questa segregazione, che non si può vivere senza affetti.

 

Dom. Appena sarà finito questo periodo di quarantena, crede che farà acquisti? Se sì, quali? N. Rispondenti: 1195


 

Cosa resterà

Che cosa ci porteremo dietro di tutta questa esperienza? Come abbiamo visto, molte cose sono cambiate durante la quarantena, molte prospettive si sono modificate, addirittura molti valori si sono riequilibrati in modi diversi. È il risultato, spesso, di come le persone hanno avuto modo di osservarsi, per una volta con più calma del solito. O per lo meno con un’agitazione che li ha costretti a razionalizzare molto.
Questa ritrovata (o forse scoperta solo ora) capacità di riflettere su se stessi e sul mondo che ci circonda è la cosa che ci si vorrebbe portare dietro. Una capacità ogni volta declinata su piccole cose (per esempio le piccole abitudini salutari come quella di fare ginnastica in casa) o su argomenti più grandi (come la necessità di “lasciare il proprio segno nel mondo” perché ora il mondo ha bisogno di persone consapevoli), ma sempre con lo stesso spirito accorato e partecipe.

Io spero di poter fare anche la mia parte nel mio piccolo e nel mio piccolo mondo, per questa ricostruzione necessaria. Mettere un mio mattoncino proprio piccolo. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi, lasciar fare a loro ma seguirli anche.​

Forse. O forse no. E allora sarà stata un’occasione sprecata.